Sono necessari nuovi programmi scolastici UNITARI e SISTEMICI fondati sulla teoria dell’evoluzione (cosmologica, biologica, paleo-antropologica e storica), formulati a livelli diversi di complessità a seconda dell’età e dei gradi di insegnamento.
Particolare e specifica attenzione va riservata al problema energetico, ai suoi fondamenti teorici, e alla sua storia e attualità nelle società umane. L'energia è forse il principale problema che l’umanità ha di fronte ed è necessario che sia capito nel modo più generalizzato possibile. Esso inoltre si presenta anche come ambito ottimale di sperimentazione pratica, che realizza brillantemente il principio di integrazione fra lavoro intellettuale e lavoro manuale.
Perché questo tipo di impostazione?
La necessità di questi nuovi programmi didattici deriva dal fatto che la scuola tradizionale, a tutti i livelli, è fondata sulla FRAMMENTAZIONE DEL SAPERE e ciò ha dato origine, in primo luogo, al ben noto problema delle “due culture” con la contrapposizione fra la cultura scientifica e quella umanistica e, ulteriormente, all’interno della cultura scientifica, al riduzionismo alla specializzazione disciplinare. Questo stato di cose, da un lato ha creato grandi esperti in campi limitati, ma, dall’altro lato, ha cristallizato una drammatica incapacità cognitiva ed epistemologica di guardare i problemi sociali, economici ed ecologici nel loro insieme.
La freccia cosmologica del tempo come guida
An arrow of time can be used to highlight salient features of cosmic history, from the beginning of the Universe to the present. Sketched diagonally along the top of this arrow are the major evolutionary phases that have acted, in turn, to yield increasing amounts of order and complexity among all material things. Despite its implication of “time marching on,” the arrow is meant to imply nothing strictly deterministic, nor progressive. Much as for its most celebrated component – neo Darwinism – the twin agents of chance and necessity embed all aspects of the cosmic-evolutionary scenario, whose temporal “arrow” hereby represents a convenient guide to natural history’s many varied changes.
Una freccia del tempo può essere utilizzata per evidenziare le caratteristiche salienti della storia cosmica, dall'inizio dell'Universo fino ad oggi. Abbozzate in diagonale lungo la parte superiore di questa freccia ci sono le principali fasi evolutive che hanno agito, a loro volta, per produrre quantità crescenti di ordine e complessità tra tutte le cose materiali. Nonostante la sua implicazione di “tempo che avanza” la freccia non sta a significare nulla di strettamente deterministico, né progressivo. Proprio come per la sua componente più celebre – il neo-darwinismo - gli agenti gemelli del caso e della necessità incorporano tutti gli aspetti dello scenario cosmico- evolutivo, dei quali la "freccia" temporale con ciò rappresenta una guida conveniente per la storia naturale di molti diversi cambiamenti.
Vediamo ora alcune citazioni che chiariscono questo problema. Le analisi di Sergio Ulgiati, Henri Laborit, Luigi Sertorio e infine Pietro Kropotkin, ci permettono di concatenare fra loro i problemi principali e di individuare una prospettiva rizomatica di azione.
1) Sergio Ulgiati: intervento al Congresso dell’Associazione Insegnamento della Fisica ottobre 2007
Il nostro sistema educativo ha fallito
Se oggi è un giorno come gli altri, noi perderemo 35.000 ettari di foresta tropicale, 19.000 ettari di suolo a causa dell’avanzare della desertificazione e circa 40/250 specie viventi. Da fisici vi rendete conto che questi dati sono altamente incerti e sapete anche perché, tuttavia dimostrano una tendenza e in questo momento è importante che noi comprendiamo la linea di tendenza.
Se oggi è un giorno come gli altri, la popolazione umana crescerà di circa 250.000 unità. Rilasceremo in atmosfera 15 milioni di tonnellate di anidride carbonica e causeremo l’erosione di 75 milioni di tonnellate di suolo fertile con ciò diminuendo le proprietà del suolo a fini agricoli e forestali. Allora come conseguenza di tutto questo, entro la fine dell’anno l’area della foresta tropicale perduta sarà pari a 130 mila Km quadrati, cioè sei volte la superficie della Regione Toscana. I deserti si estenderanno per 62 mila Km quadrati, più o meno ovviamente, cioè circa 3 volte la superficie dell’Emilia Romagna. La popolazione mondiale sarà cresciuta alla fine dell’anno di 90 milioni di unità cioè di una Italia e mezza in più. Avremo perduto il 20% delle specie che esistevano in questo pianeta nel 1900, per effetto cumulativo delle perdite di tutti gli anni passati. Insisto, sono linee di tendenza. Se leggete studi del “Millenium Ecosystem Assestment” (http://www.millenniumassessment.org ) o del Intergovernmental Panel on Climate Change ( http://www.ipcc.ch ) o altri studi, troverete dati un po’ differenti, qualcuno più ottimista, qualcuno più pessimista, l’importante è capire dove stiamo andando, cioè capire, purtroppo dove stiamo andando.
Ma il vero problema è che questa non è la conseguenza del lavoro dei ceti ignoranti. E’ in larga misura il risultato del lavoro della frazione più istruita della nostra popolazione mondiale. In tutta la storia del genere umano non abbiamo mai avuto gente con tanti diplomi con tante lauree, con tante specializzazioni, con tanti dottorati di ricerca, con tanti master, eccetera eccetera. Certo, anche oggi abbiamo parlato dello sforzo educativo. Ossia, c’è qualcosa che non è andato per il verso giusto. In qualche modo il nostro sistema educativo globale, a parte esperienze particolarmente significative, ha fallito o almeno non è stato capace di segnalare la strada. La formazione impartita ha elaborato astrattezza molto spesso, ... anziché consapevolezza. La consapevolezza è capire dové il problema invece di elucubrare. Risposte anziché domande. Noi abbiamo fornito risposte, non abbiamo insegnato alla generazioni che si sono susseguite a porre la domanda e qualche volta a porre il gruppo di domande che servivano. Soprattutto riduzionismo, parcelizzazione delle conoscenze anziché una visione sistemica. Una visione sistemica cioè che ci spinge a considerare il tutto, a considerare il sistema in cui ci troviamo, il nostro Pianeta come composto da numerosi sottosistemi e componenti che interagiscono fra di loro. Quindi le parti e i flussi di relazione tra le parti. Al di fuori di questa visione, noi educhiamo persone capaci di fare molto bene il loro mestiere. Educhiamo ottimi ingegneri, ottimi economisti, ottimi avvocati, ottimi fisici. Ma ciascuno ottimo nel suo settore. Ma nel momento in cui questo ciascuno è incapace di vedere gli altri settori rischia di causare più danno che beneficio. Non possiamo poi stupirci se i giovani delle generazioni educate in maniera parcellizzata poi generano dei tecnici, dei manager dell’industria, dei politici, e potremmo continuare nella lista, incapaci di vedere l’insieme, perché vedono solo l’albero perché non sono capaci di vedere la foresta. Il primo problema che questo genera è l’etica della crescita. Tutto ciò che ci viene presentato, nei nostri giorni, è che il diagramma che va verso l’alto è una buona cosa. Quindi la crescita di qualunque tipo: dei guadagni, dei profitti della compagnia, del numero dei laureati, qualunque cosa è una cosa buona, crescita del prodotto lordo, è una cosa positiva, da perseguire.
2) Henri Laborit dal libro la Colomba Assassinata 1983
Le soluzioni devono essere scoperte dall’insieme delle persone che abitano il Pianeta
«Ma cosa è la Scienza, la cosiddetta Scienza? Non è giunto il momento di servirsene per creare una coscienza planetaria della finalità della specie e dei mezzi per realizzarla? Questa finalità non può che essere la sopravvivenza. Lo sviluppo tecnologico deve essere al servizio di questa finalità, non deve essere un mezzo per instaurare dominanze di gruppi mediante la produzione di merci e di armi sempre più micidiali.
Una biopedagogia porta così a quella che abbiamo chiamato l’«informazione generalizzata», quella dei sistemi, e non alla trasmissione, attraverso le generazioni, dell’accumulo del capitale tecnologico nelle sue diverse specializzazioni, in sottoinsiemi che manipolano la materia, l’energia o i concetti che vi sono legati, nell’ignoranza dei meccanismi che governano il loro impiego. Non vedo al di fuori di questa biopedagogia che è al tempo stesso una pedagogia della biologia e una biologia della pedagogia, come possa nascere una «nuova società» di cui si parla tanto ma che rimane per ora una pia intenzione. Essa potrà secondo la nota espressione, insegnare a capire meglio, ma anche insegnare alle generazioni future a imparare cose diverse da quelle che abbiamo imparato noi e soprattutto a servirsene diversamente.
Non è un progetto semplice, dobbiamo dirlo, perché ogni individuo è inserito in una istituzione, ad esempio, l’allievo nella famiglia, l’insegnante nella Pubblica Istruzione. Ebbene, queste istituzioni sono a loro volta inserite in una società globale. Nel nostro mondo occidentale questa società ha istituzionalmente i meccanismi con cui si ottengono le dominanze in base al grado di astrazione raggiunto da un individuo nel suo apprendimento professionale, sancito da diplomi. Una civiltà produttivistica, interamente basata sulla vendita di merci, vendita che stabilisce i criteri di dominanza, favorirà nelle istituzioni che dipendono da lei l’implacabile competizione che condiziona il cosiddetto «progresso». Pretenderà che ogni individuo si sottometta alla struttura astratta dello stato produttivistico. I genitori esigeranno per il bene dei figli che l’istituzione dia loro i mezzi per instaurare una dominanza in questo sistema che così si riprodurrà all’infinito. Difatti, istituzioni, stato, società globale sono «strutture» cioè cose impalpabili, un «modellamento» dei sistemi viventi che non esistono in quanto «cose» ma in quanto relazioni. Ma queste relazioni si stabiliscono tra altre strutture, le strutture biologiche degli individui cui abbiamo accennato all’inizio. Come cambiare le une senza cambiare le altre e viceversa? A tutti i livelli di organizzazione troviamo l’inibizione dell’azione. Si può sfuggire solo con la delinquenza, il suicidio o la demenza e, a livello di gruppi o di stati; con il terrorismo e la guerra. Se pensiamo che da millenni, ma soprattutto dall’avvento della società industriale, l’insegnamento ha ricompensato, favorito, l’attività del cervello sinistro, quella della analisi sequenziale, del linguaggio e della matematica nel suo aspetto meno creativo, soffocando quella del cervello destro, quella delle sintesi globalizzanti, della valutazione dello spazio, capace di creare qualcosa di nuovo, una nuova struttura con le briciole dei fatti analizzati dal cervello sinistro, e che la motivazione di ciò è sempre stata la ricerca della dominanza, proviamo un certo scetticismo per l’evoluzione di quello che viene definito insegnamento. Einstein fu respinto, a quanto dicono, al Politecnico di Zurigo, perché non era un buon matematico. Per finire mi sembra derisorio e inefficace affrontare il problema dell’insegnamento in modo non sistemico. Ma inversamente, affrontarlo sistemicamente significa scontrarsi con le finalità del maggiore insieme, la società globale su cui, come individui, non abbiamo alcun potere. A meno che, prendendo coscienza (come si dice) o acquisendo conoscenza (mi piace di più) non riuscissimo a liberarsi dal miscuglio di logorrea, di analisi logiche, di criteri di valore, in cui annaspiamo, senza più fiato. Ma probabilmente tutto questo mio discorso è solo un ingrediente da aggiungervi, e non ne cambierà molto il valore nutritivo, né il sapore.
……
I biologi del comportamento non possono proporre soluzioni, perché le soluzioni debbono essere scoperte dall’insieme degli uomini del pianeta. Ma possono mettere a nudo i meccanismi di questa commedia umana, che per ora sono stati affrontati solo a discorsi.»
Riflettiamo su questa frase “… le soluzioni devono essere scoperte dall’insieme degli uomini del pianeta”; essa è estremamente azzeccata ed indica la strada da percorrere. Peraltro, Laborit indica anche un programma didattico ben chiaro “una pedagogia della biologia e una biologia della pedagogia”.
Non si può però fare a meno di rilevare che la frase suddetta è caratterizzata dalla solita deformazione del linguaggio maschile “.. dall’insieme degli uomini del pianeta.” E’ ben chiaro d’altra parte che, per quanto riguarda l’analisi teorica e pratica delle strutture di dominanza, negli ultimi decenni il femminismo si è dimostrato fortemente attivo in campo scientifico ed epistemologico e quindi è necessario attuare una correzione, formalmente come in molti altri casi, di tipo linguistico, come avviene nelle espressioni moderne che inventano nuove grafie per eliminare il maschilismo intrinseco al linguaggio e alle parole che vengono quotidianamente usate; però nella fattispecie si tratta anche di una questione veramente sostanziale in quanto esiste una effettiva critica femminista ed eco-femminista della scienza. Quindi è “…dall’insieme delle persone del pianeta” che devono essere scoperte le soluzioni, al problema della gerarchia, del patriarcato, dei meccanismi di dominanza, di una società basata sulla vendita di merci, .. nella quale a tutti i livelli di organizzazione troviamo l’inibizione dell’azione. Non si tratta quindi solo di soluzioni maschili ma dell'intervento di tutte le epistemologie che attraversano i generi e le svariate sensibilità sessuali, artistiche, meditative, corporali, che la pratica delle libertà è in grado di generare. Evidentemente la critica dell'uso dei termini maschili vale in generale per tutti gli autori, anche per i seguenti.
3) Luigi Sertorio in “100 watt per il prossimo Miliardo di Anni” 2008
.. figli/e della Scienza .. solo fotoni in uscita ..
L’ipotetica società formata da N esseri umani forniti di 100 watt di potenza media additiva per persona vive in un certo luogo del pianeta Terra con le condizioni biologiche e climatologiche che a tale luogo competono. Sceglie di posizionarsi in zone opportune dal punto di vista dei flussi naturali. Gestisce una opportuna area geografica circostante. Interagisce con altre società vicine e lontane. I membri di tale società sanno che hanno bisogno di fotoni solari, che quindi sono sottratti dai cicli naturali inorganici e dalla catena trofica della biosfera, hanno bisogno di acqua sottratta dai cicli naturali, hanno bisogno di energia cinetica dei venti, da sottrarre dai cicli atmosferici che distribuiscono le nuvole, e la pioggia e l’evaporazione su tutta la Terra.
Questi uomini sono figli della scienza e sanno che ogni modifica artificialmente apportata ai cicli biologici e ai cicli inorganici si ripercuote su tutta la dinamica terrestre. Essi sanno che toccare un ciclo naturale è come toccare un chewingum alla cassa di uno Stradivari: cambia il suono, ma la relazione esatta fra la massa del chewingum, la posizione in cui lo si appiccica e lo spettro di frequenze del suono risultante non la si conoscerà mai. Dunque essi sanno che se bruciamo una foresta qui, tutte le altre società intelligenti se ne accorgeranno osservando gli effetti che arriveranno là; se fanno una diga, una centrale eolica, una centrale fototermica ecc., tutte le altre società intelligenti se ne accorgeranno ovunque siano. Dovranno allora mettersi d’accordo. Le strutture politiche nazionali ed internazionali non saranno certo simili a quelle presenti. Questi uomini figli della scienza si sono posti il compito di operare in modo tale che esseri umani memori del loro insegnamento possano esistere fra un miliardo di anni. Essi dunque sanno che i manufatti appartenenti alla chimica inorganica che producono devono potersi trasformare spontaneamente in fotoni terrestri in un consono periodo di tempo. Capiranno che possono perseguire due strade: 1) Non produrre più scorie. 2) Nascondere le scorie sotto la crosta terrestre ed eiettarle nello spazio extraterrestre. Ne segue che il vero problema posto alla scienza futura è l’output; creare qualsiasi manufatto purché si trasformi in fotoni»
Luigi Sertorio 2008 “100 watt per il prossimo miliardo di anni” pag 99,100,101
4. Pietro Kropotin:
Integrazione fra Lavoro Intellettuale e Lavoro Manuale
E’ oramai ben noto che nell’era digitale la formazione dei giovani comporta un aumento del distacco dalla realtà materiale e dalla manualità. Un eccesso di operazioni virtuali è fortemente diseducativo relativamente alle caratteristiche antropologiche della nostra specie che ha iniziato il suo percorso evolutivo proprio dal bipedalismo perfetto e dalla conseguente liberazione delle mani. Il movimento politico che maggiormente, già nell’Ottocento, aveva posto il problema dell’integrazione fra lavoro intellettuale e lavoro manuale è sicuramente il movimento anarchico e, all’interno di questo, la posizione principale è assunta dall’anarchico russo Pietro Kropotkin (1842-1921), che mise in pratica questo principio su se stesso e poté vedere da vicino ciò che già si faceva nella “Scuola di Mosca” negli anni settanta-ottanta dell’Ottocento. Kropotkin si iscrisse alla facoltà di fisica e matematica all’età di 25 anni dopo aver fatto una spedizione geografica di 5 anni in Siberia. La sua formazione è quella di un naturalista ottocentesco, con un approccio interdisciplinare alle scienze. Senz’altro dai suoi scritti si capisce non era a conoscenza completa degli sviluppi della fisica del novecento (Planck, Einstein, fisica quantistica, relatività), ma era ben consapevole dello stato della meccanica delle macchine, della teoria del calore, della chimica, cioè tutto quanto riguarda lo sviluppo dell’industria nell’Ottocento ed era un profondo conoscitore delle scienze naturali in generale. Riportiamo qui la descrizione sul funzionamento della suddetta Scuola di Mosca, che costituisce un ottimo esempio di come si possa dare una formazione manuale e tecnico-scientifica avanzata ai giovani di età da scuole superiori. Certo, pesa la classica distinzione patologica fra educazione scientifica ed umanistica, che poi è uno dei punti principali da superare, in una strategia di educazione integrata, che, beninteso, la scuola istituzionale non potrà mai realizzare.
“Dopo cinque o sei anni di frequenza, gli allievi uscivano dalla Scuola di Mosca con una profonda conoscenza delle matematiche superiori, della fìsica, della meccanica e delle scienze annesse, -- conoscenza tanto profonda da non essere affatto inferiore a quella che si può acquistare nelle facoltà di scienze matematiche delle migliori università europee. Mentre appunto io studiavo nella facoltà fisico-matematica dell'Università di Pietroburgo, ebbi occasione di paragonare al nostro il sapere degli studenti della Scuola Tecnica di Mosca. Vidi le lezioni di geometria superiore che uno di essi, mio allievo, aveva redatto per utilità dei suoi compagni. Ammirai la facilità con la quale quei giovani applicavano il calcolo integrale ai problemi di dinamica, e ne conclusi che mentre noi studenti d'Università possedevamo in maggior quantità cognizioni d'ordine generale, — per esempio in meccanica celeste, — gli studenti di quella Scuola Tecnica erano molto più innanzi nella geometria superiore e specialmente nelle applicazioni della matematica ai problemi più complessi della meccanica, alla teoria del calore e dell'elasticità. Ma mentre noi sapevamo appena servirci delle nostre mani, gli studenti della Scuola Tecnica fabbricavano, senza aiuto alcuno d'operai professionali, delle belle macchine a vapore, dalla caldaia fino all'ultima vite, delicatamente lavorata, nonché delle macchine agricole e degli strumenti scientifici. Tutti quei prodotti erano destinati alla vendita, e quegli studenti ottenevano nelle esposizioni internazionali i più alti premi pel lavoro delle loro mani. Erano operai qualificati, che possedevano un'educazione scientifica, un'educazione universitaria;” (tratto da P. Kropotkin Lavoro Intellettuale e Lavoro Manuale)
Una volta interiorizzate queste profonde motivazioni si deve cercare di capire qual è, passo dopo passo, la strada da percorrere.
La sfida globale al riduzionismo è di fondamentale importanza poiché la mentalità riduzionista si intreccia con le “epistemologie del dominio” (Murray Bookchin, L’Ecologia della Libertà), creando un labirinto cognitivo, economico, politico ed ecologico dal quale è impossibile uscire. Questo stato di cose consente ai Capitalismi, agli Stati, ai Patriarcati, a tutti i sistemi di Potere di godere di un vantaggio strategico di “resilienza” che permette loro di reprimere ma, soprattutto, di riassorbire ogni protesta parziale o non sufficientemente elaborata e teoricamente consistente, anche se ha individuato temi fondamentali quali per es. il Global Warming Antropogenico che nel 2019 ha riscosso grandi sensibilità nel mondo studentesco e giovanile, grazie al movimento Friday For Future ispirato da Greta Thunberg.
Vincere questa sfida contro i supporti teorici e cognitivi del capitalismo globalizzato e della logica di dominio è possibile solo riorganizzando la didattica scientifica in particolare e la conoscenza in generale, su basi unitarie, sistemiche, cosmologiche ed evolutive.
Un tale approccio evoluzionista tout court è poi in ottima sintonia con un progetto di Scienza Integrata della Sostenibilità (hanno in comune l’interdisciplinarietà nell’accezione più vasta) che rappresenta l’obbiettivo trainante e costruttivo di questo progetto educativo e che andremo via via a definire in maniera articolata.
Si realizza cioè un’ottima sinergia fra l’evoluzionismo cosmologico e una coscienza ecologica scientificamente espressa, al punto che si può sostenere che un approccio di questo genere rappresenta proprio un passo avanti nell’evoluzione cosmologica complessiva a 12,7 miliardi dal big bang. D’altra parte si tratta di un passo in avanti assolutamente necessario, pena, al contrario, la regressione culturale, morale ed ecologica della società umana. Quindi il nostro obiettivo deve essere quello di far nascere nel presente, nella freccia cosmologica del tempo, una “coscienza di specie” che ponga le basi per ricostruire concretamente la presenza umana sul Pianeta Terra, in modo ecologicamente e socialmente sostenibile. Per raggiungere questo risultato tutte le persone che abitano il Pianeta devono essere dotate di una filosofia ecologica di base e di una “tool box” per affrontare e risolvere gradualmente i grandi problemi ai quali la specie Homo Sapiens si trova di fronte.
Oltretutto va rilevato che il tempo a disposizione non è molto e quindi non è il caso di sprecarlo in filosofie e strategie politiche rivelatesi perdenti. L’approccio qui esposto potrebbe apparire utopistico, astratto e comunque impossibile da mettere in pratica ma allora si rileggano le posizioni dei tre scienziati citati (Ulgiati, Laborit e Sertorio), che si collocano chiaramente al di fuori di ipotesi politiche precostituite, ma parlano proprio dall’interno della scienza.
Proposta intermedia
La cosa maggiormente desiderabile, al giorno d’oggi, è proprio la realizzazione di una sorta di “falansterio” di ecologia sociale, nel quale tutte queste operazioni educative e rieducative, possano essere realizzate con continuità e per ogni classe di età. Un modello pilota per far vedere come dovrebbe essere organizzato un eco-sistema sociale, in teoria e in pratica, con il controllo dei bilanci sui flussi di materia ed energia, l’agricoltura biologica, la formazione dei mestieri e dei saperi, zero costi energetici (100 watt per il prossimo miliardo di anni!) zero entropia e zero rifiuti; cioè come direbbe l’eco-fisico Luigi Sertorio, «creare qualsiasi manufatto purché si trasformi in fotoni».
Uno sforzo di questo genere richiede un'attività preliminare di preparazione degli/delle attivisti/e, l’elaborazione e la condivisione della trama teorica, il reperimento delle risorse finanziarie, l’individuazione del sito, la stesura di un progetto generale e le definizione delle priorità nel programma di realizzazione.
La costruzione di questo tipo di modello didattico-sperimentale è un passaggio indispensabile per far vedere in pratica come possono funzionare le cose e come si trasmettono le conoscenze teoriche.
Paolo De Toni 28/29 marzo 2021
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