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Pietro Kropotkin,

formidabile anticipatore della sostenibilità:

l'economia come fisiologia della società

https://it.wikipedia.org/wiki/P%C3%ABtr_Alekseevi%C4%8D_Kropotkin

Brani tratti da  La Scienza Moderna e L' Anarchia (1901)

scaricabile qui in pdf https://eleuthera.it/files/materiali/Kropotkin_Scienza_e_anarchia.pdf

prewiev su kobo https://www.kobo.com/at/en/ebook/la-scienza-moderna-e-l-anarchia

 

QUESTIONI DI METODO

Benché l’anarchia, in ciò simile a tutte le correnti rivoluzionarie, sia nata in seno al popolo, nel tumulto della lotta e non nello studio di un pensatore, è però utile capire dove si colloca fra le diverse correnti del pensiero scientifico e filosofico contemporaneo.

Come si pone di fronte a queste diverse correnti? A quale fa riferimento di preferenza? Quale metodo di ricerca adopera per avallare le sue conclusioni? In altre parole, a quale scuola di filosofia del diritto appartiene l’anarchia? Con quale corrente della scienza moderna presenta le maggiori affinità?

Di fronte all’entusiasmo per la metafisica economica che abbiamo visto recentemente nei circoli socialisti, questa questione è di qualche interesse. Cercherò, quindi, di rispondervi brevemente e nel modo piùsemplice possibile, evitando i termini difficili ogni volta che si possono evitare.

Il movimento intellettuale del XIX secolo ha le sue origini nell’opera dei filosofi inglesi e francesi elaborata tra la metà e la fine del secolo precedente. Il risveglio del pensiero determinatosi in quell’epoca ispirò a questi pensatori il desiderio di raccogliere tutte le umane conoscenze in un sistema generale: il sistema della natura. Rifiutando interamente la scolastica e la metafisica medievale, ebbero il coraggio di posare il loro sguardo su tutta la natura – il mondo delle stelle, il nostro sistema solare, la Terra e lo sviluppo delle piante, degli animali e delle societa umane sulla sua superficie – come su una serie di fatti che possono essere studiati allo stesso modo in cui si studiano tutte le scienze naturali.

Avvalendosi ampiamente del vero metodo scientifico – il metodo induttivo-deduttivo – quei pensatori intrapresero l’esame di tutto ciò che la natura ci offre, tanto del mondo stellare o animale quanto di quello delle credenze e delle istituzioni umane, in modo del tutto eguale a quello che avrebbe adoperato un naturalista per studiare problemi di fisica.

Essi annotavano dapprima con pazienza i fatti e quando, in seguito, si mettevano a trarne delle generalizzazioni, lo facevano per via induttiva. Avanzavano, naturalmente, talune ipotesi, ma a queste ipotesi non attribuivano maggiore importanza di quella che Darwin aveva attribuito alla sua ipotesi sull’origine delle nuove specie nella lotta per l’esistenza, o che Mendeleeff aveva attribuito alla sua ipotesi sulla tavola periodica degli elementi. Essi non vi vedevano che delle supposizioni, le quali offrivano una spiegazione provvisoria facilitando l’aggregazione dei fatti e il loro esame, ma non dimenticavano affatto che tali supposizioni dovevano essere confermate dalla compatibilità con una moltitudine di altri fatti e che andavano spiegate anche per via deduttiva. Queste non potevano diventare «leggi» (cioè generalizzazioni provate) se non dopo essere stata sottoposte a tale verifica e solo dopo che le cause dei rapporti costanti da loro espressi fossero state spiegate. Quando il centro del movimento filosofico del XVIII secolo passò dalla Scozia e dall’Inghilterra alla Francia, i filosofi francesi, con la propensione per la sistemati- cità che è loro propria, si misero a ricostruire su un piano generale e secondo gli stessi principi, tutte le conoscenze umane, naturali e storiche. Quello che tentarono fu di fondare il sapere generale – la filosofia dell’universo e della sua vita – con un metodo strettamente scientifico, respingendo quindi tutte le costruzioni metafisiche dei filosofi precedenti e spiegando tutti i fenomeni con l’azione di quelle forze fisiche (vale a dire meccaniche) che avevano ritenuto sufficienti a spiegare l’origine e l’evoluzione del globo terrestre. [...]

Risulta così evidente che i pensatori del XVIII secolo non cambiavano di metodo quando nei loro studi passavano dal mondo delle stelle a quello delle reazioni chimiche, o dal mondo fisico e chimico a quello della vita delle piante e degli animali, o a quello delle dinamiche economiche e politiche della società, o delle forme evolutive delle religioni, e così via. Il metodo era sempre lo stesso. A tutte le branche della scienza essi applicavano sempre il metodo induttivo. E poiché non trovarono mai, tanto nello studio delle religioni quanto nell’analisi del senso morale e del pensiero in generale, anche un solo punto in cui tale metodo si rivelasse insufficiente e un altro se ne imponesse; poiche non si videro mai costretti a ricorrere néa concezioni metafisiche (dio, anima immortale, forza vitale, imperativo categorico ispirato da un essere superiore, ecc.), né a qualsivoglia metodo dialettico, essi cercarono di spiegare tutto l’universo e i suoi fenomeni con il sistema NATURALISTA. [...]

Quale posto occupa dunque l’anarchia nel grande movimento intellettuale del XIX secolo? La risposta a questa domanda è venuta delineandosi in base a quanto abbiamo già detto precedentemente.

L’anarchia è una concezione dell’universo basata su un’interpretazione meccanica dei fenomeni (meglio sarebbe dire cinetica, ma è parola meno conosciuta) che abbraccia tutta la natura, ivi compresa la vita delle societa. Il suo metodo è quello delle scienze naturali, e in base a questo metodo ogni conclusione scientifica dev’essere verificata.

La sua tendenza è di fondare una filosofia di sintesi, che includa tutti i fatti della natura, compresa la vita delle societàumane e i loro problemi economici, politici e morali; senza però cadere negli errori nei quali incorsero, per le ragioni già indicate, Comte e Spencer.

E' dunque evidente che per ciò stesso l’anarchia, di fronte a tutte le questioni poste dalla vita moderna, deve necessariamente dare risposte diverse e assumere atteggiamenti diversi da quelli di tutti gli altri partiti politici, non eccettuato in buona misura il Partito socialista, che non si è ancora sbarazzato delle vecchie finzioni metafisiche.

Indubbiamente, l’elaborazione di una concezione meccanica complessiva della natura e delle società umane non è che ai suoi esordi per quanto riguarda gli aspetti sociologici, che trattano appunto della vita e dell’evoluzione delle società. Tuttavia, il poco che si è fatto finora presenta già – talvolta addirittura in modo inconscio – il carattere che abbiamo indicato. Nella filosofia del diritto, nella teoria della morale, nell’economia politica e nello studio della storia dei popoli e delle istituzioni, gli anarchici hanno già dimostrato di non accontentarsi di soluzioni metafisiche, ma di voler dare alle loro conclusioni un fondamento naturalista. Essi non si lasciano suggestionare dalla metafisica di Hegel, di Schelling e di Kant, dai commentatori del diritto romano e del diritto canonico, dai dotti professori di diritto dello Stato o dall’economia politica dei metafisici; piuttosto, cercano di rendersi esattamente conto dei vari problemi emersi in questi campi, rifacendosi agli studi con la prospettiva naturalista compiuti negli ultimi quaranta-cinquanta anni.

...

L'ECONOMIA

Quanto all’economia politica socialista, è vero che essa critica alcune di queste conclusioni, oppure ne spiega altre in modo diverso, ma ugualmente commette la stessa dimenticanza e, ad ogni modo, non si è ancora tracciata un proprio cammino, rimanendo su quello vecchio. Il massimo che ha fatto (con Marx) è stato di riprendere le definizioni dell’economia politica metafisica e borghese per dire: «Vedete bene che, anche accettando le vostre definizioni, si arriva a provare che il capitalista sfrutta l’operaio», cosa che suonerà forse bene in una polemica, ma che non ha nulla a che vedere con la scienza.
In generale, riteniamo che la scienza dell’economia politica vada costituita in modo diverso:
deve essere trattata come una scienza naturale e proporsi una nuova meta; deve occupare in rapporto alle società umane un posto simile a quello che la fisiologia occupa in rapporto alle piante e agli animali: deve diventare insomma una fisiologia della società. Il suo scopo deve essere lo studio dei bisogni sempre crescenti della società e dei diversi mezzi impiegati per soddisfarli; deve analizzare questi mezzi per vedere fino a che punto sono stati una volta e sono oggi appropriati allo scopo; e in ultimo – poiché lo scopo finale di ogni scienza è la previsione e l’applicazione alla vita pratica (ed è un bel pezzo che Bacone l’ha affermato) – essa dovrà studiare i mezzi per meglio soddisfare la somma dei bisogni moderni e ottenere con la minore spesa d’energia (con economia) i migliori risultati per l’umanità in generale.

Si dirà forse che tutto questo è logico, che prima di soddisfare i bisogni occorre cercare ciò che può soddisfarli. Ma prima di produrre alcunché, non bisogna sentirne il bisogno? Non è stata la necessità che all’inizio ha spinto l’uomo a cacciare, ad allevare il bestiame, a coltivare la terra, a fare utensili e, più tardi, a inventare le macchine? Non è l’analisi dei bisogni che dovrebbe indirizzare la produzione? Sarebbe quantomeno logico cominciare proprio dai bisogni e vedere poi come organizzare la produzione in modo da sopperire a tali bisogni.
Ed è appunto quello che intendiamo fare. Ma dal momento in cui la si guarda da questa prospettiva, l’economia politica cambia totalmente. Cessa di essere una semplice descrizione dei fatti e diventa una scienza, che potremmo definire come lo studio dei bisogni dell’umanità e dei mezzi per soddisfarli con il minimo spreco possibile di forze umane. Ma la sua esatta denominazione sarebbe
fisiologia della società e dovrebbe costituire una scienza parallela alla fisiologia delle piante o degli animali, che è anch’essa lo studio dei bisogni del mondo vegetale e animale e dei mezzi più vantaggiosi per soddisfarli. Nell’ambito delle scienze sociologiche, l’economia delle società umane deve occupare il posto che nelle scienze biologiche è occupato dalla fisiologia degli esseri organici.

Ma non perdiamo di vista l’obiettivo della produzione: soddisfare tutti i bisogni. Se i bisogni più impellenti dell’uomo restano insoddisfatti, che bisogna fare per aumentare la produttività del lavoro? O non sarà che magari ci sono altre cause? Non sarà, forse, che la produzione, avendo perso di vista i bisogni dell’uomo, ha preso una direzione assolutamente sbagliata e la sua intera struttura ne è stata viziata?
Poiché siamo in grado di dimostrare che le cose stanno esattamente così, vediamo allora come riorganizzare la produzione in modo da soddisfare realmente tutti i bisogni. Questo ci sembra il solo modo per affrontare correttamente la questione, il solo modo che consenta all’economia politica di diventare una scienza: la scienza della fisiologia sociale.

 

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