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Iperconnessi. La iGeneration

Aggiornamento: 15 lug 2019



E' di fondamentale importanza capire in che trasformazione epocale stiamo vivendo.

Per cui pubblicheremo una serie di contenuti per stimolare un dibattito approfondito sulle tendenze sociologiche in atto, sulla percezione della realtà, sulle nuove esigenze e tendenze esistenziali e, soprattutto, su come comunicare contenuti ontologici, epistemologici e politici alle nuove generazioni.

- Qui un nostro intervento precedente Web Strategy&Theoretical Minimun

- Qui il link a un video di Presa Diretta su Rai3 del 16 10 2018 dove si cita anche il libro di Jean M. Twenge dal libro “Iperconnessi (2017)”

- Qui di seguito pubblichiamo passi di: Jean M. Twenge dal libro “Iperconnessi (2017)”

Introduzione

Chi sono gli iGen, e come facciamo a riconoscerli?

Siamo in estate, è piú o meno mezzogiorno: sto chiacchierando con Athena, tredici anni, e ho l’impressione che si sia appena svegliata. Parliamo un po’ delle sue canzoni preferite, dei programmi Tv che guarda piú spesso, poi le chiedo cosa le piace fare con i suoi amici. «Andiamo al centro commerciale», dice. «I tuoi genitori ti accompagnano in macchina e poi si levano di torno, giusto?» indago, ripensando alla ragazzina che sono stata negli anni Ottanta e a quelle poche ore di libertà trascorse con gli amici, senza genitori tra i piedi. «No, stiamo tutti insieme, – risponde Athena. – La mamma e i miei fratelli camminano davanti, io e le mie amiche li seguiamo a qualche passo di distanza. Se vogliamo allontanarci dico alla mamma dove stiamo andando, e lei decide se dobbiamo tornare un’ora o mezz’ora dopo».

Fare i giri al centro commerciale con la mamma non è l’unica peculiarità nella vita sociale degli adolescenti di oggi. Athena e i suoi amici frequentano la stessa scuola media di Houston, Texas, ma comunicano piú attraverso i cellulari che di persona. Il loro strumento preferito è Snapchat, un’app che permette di scambiarsi foto ma le elimina automaticamente in breve tempo. Vanno matti per il filtro che aggiunge orecchie e musetti da cane alle facce delle persone. «È fantastico, è il piú carino in assoluto», dice Athena. Le inventano tutte per allungare le snapstreaks, le strisce di conversazione che indicano da quanti giorni si è in chat con un dato contatto. Se gli arriva una foto ridicola di qualche amico usano la funzione cattura schermo per conservarla. «Potrebbe tornare buona per qualche ricatto», dicono.

Athena ha trascorso gran parte dell’estate chiusa in camera da sola, attaccata al suo smartphone. «Piuttosto che stare con la mia famiglia, preferisco smanettare col cellulare e guardare Netflix. Non ho fatto altro per quasi tutte le vacanze. Ho passato piú tempo al telefono che con le persone vere». Quelli della sua generazione sono fatti cosí, dice. «Non sappiamo cosa sia la vita senza un iPad o un iPhone: non ci è stata data l’alternativa. A volte penso che vogliamo piú bene agli smartphone che alla gente vera».

Ebbene sí, la iGeneration è tra noi. I nati dal 1995 in poi sono praticamente cresciuti con il cellulare in mano, sono su Instagram da quando andavano alle medie e non hanno ricordi di un mondo senza Internet.

I piú anziani tra gli iGen si affacciavano all’adolescenza quando il primo iPhone fu immesso sul mercato, nel 2007; nel 2010 arrivò l’iPad, e loro frequentavano il liceo. Le i minuscole davanti ai nomi di quei dispositivi stanno per Internet, e la Rete è stata aperta agli usi commerciali proprio nel 1995. Se questa generazione deve prendere il nome da qualcosa, direi che l’iPhone calza a pennello: secondo un’indagine di marketing, nell’autunno del 2015 due teenager statunitensi su tre possedevano un telefonino della Apple. Un livello di saturazione del mercato pressoché totale. «L’iPhone non puoi non averlo, – ha dichiarato una diciassettenne intervistata nell’ambito dello studio American Girls sugli effetti dei social media. – È come se la Apple avesse il monopolio dell’adolescenza».

Il potere assoluto dello smartphone sugli adolescenti di oggi ha conseguenze che si propagano come un’onda in ogni ambito della loro vita, dalle interazioni sociali alla salute mentale. Sono la prima generazione ad aver sempre avuto Internet letteralmente a portata di mano. Il loro cellulare potrà anche essere un Samsung, il loro tablet un Kindle, ma tutti gli adolescenti sono iGen (anche quelli dei ceti meno abbienti: in termini di tempo trascorso online, non c’è alcuna differenza tra i teenager che vivono in contesti svantaggiati e quelli che provengono da famiglie benestanti: e questo, per inciso, è un altro effetto collaterale degli smartphone). In media, un adolescente controlla il cellulare piú di ottanta volte al giorno.

Accanto al progresso tecnologico, altre forze contribuiscono a modellare questa generazione. La i di iGen allude anche all’individualismo, che per i giovani di oggi è una caratteristica acquisita, una tendenza generale che fa da substrato a un fondamentale senso di uguaglianza e a un rifiuto delle regole sociali tradizionali. La vocale iniziale rimanda anche alla ineguaglianza di reddito che sta creando molta insicurezza tra i ragazzi della iGeneration, preoccupati di non riuscire a fare le scelte giuste, quelle cioè che gli garantiranno il benessere finanziario e un biglietto di ingresso nell’élite degli abbienti. Condizionati da questi fattori e non soltanto da questi, gli iGen si distinguono dalle generazioni precedenti per il loro modo di impiegare il tempo, per i comportamenti e le opinioni in materia di religione, sesso e politica. Socializzano in modi del tutto nuovi, respingono tabú sociali un tempo inviolabili, hanno aspirazioni di vita e di carriera completamente diverse. Sono ossessionati dal tema della sicurezza, preoccupati per il loro futuro economico e contrari a qualsiasi discriminazione in base al sesso, alla razza o all’orientamento sessuale. Inoltre sono in prima linea nella peggior epidemia di disturbi psichici degli ultimi decenni, che dal 2011 a oggi ha visto salire alle stelle i casi di depressione e suicidio tra gli adolescenti. A dispetto dell’opinione comune, poi, i ragazzi iGen crescono con piú lentezza rispetto alle generazioni precedenti: i diciottenni di oggi si comportano come i quindicenni di un tempo, i tredicenni come bambini di dieci anni. Fisicamente i teenager dei giorni nostri non sono mai stati meglio, ma sul versante della salute mentale sono molto piú vulnerabili.

Attingendo ai risultati di quattro grandi inchieste su scala nazionale che a partire dagli anni Sessanta hanno scandagliato la realtà quotidiana di undici milioni di americani, ho identificato le otto tendenze principali che definiscono la iGeneration e in ultima analisi l’intera società: immaturità (ovvero la tendenza a prolungare l’infanzia oltre le soglie dell’adolescenza), iperconnessione (la scelta del cellulare come passatempo egemone a discapito di altre attività), incorporeità (il declino delle interazioni sociali personali), instabilità (il forte aumento dei problemi di salute mentale), isolamento e disimpegno (l’interesse per la sicurezza, contrapposto al declino dell’impegno civile), incertezza e precarietà (la nuova visione del lavoro), indefinitezza (i nuovi modi di intendere il sesso, le relazioni sentimentali e la procreazione) e inclusività (la tendenza ad accettare le differenze, l’egualitarismo e il dibattito sulla libertà di parola). La iGeneration è il terreno ideale per esplorare le tendenze che determineranno la nostra cultura negli anni a venire: nonostante la giovane età, infatti, i ragazzi che ne fanno parte sono già abbastanza maturi per esprimere opinioni e condividere esperienze.

Da quasi un quarto di secolo conduco ricerche sul tema delle differenze generazionali: ho cominciato a ventidue anni, quando frequentavo il dottorato in Psicologia della personalità all’Università del Michigan. A quei tempi mi occupavo soprattutto della fascia di età a cui io stessa appartenevo, la cosiddetta Generazione X (quella dei nati tra il 1960 e il 1980), e di ciò che la rendeva diversa dalla generazione del boom demografico. C’erano, tra le altre cose, piú parità tra i sessi e piú ansia. In seguito ho analizzato i comportamenti, le opinioni e la personalità dei cosiddetti Millennial, cioè dei nati negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta. Le mie ricerche sono confluite nel saggio Generation Me, pubblicato nel 2006 e successivamente, in edizione aggiornata, nel 2014. In quel libro osservavo che, come di consueto, gli elementi distintivi dei Millennial in rapporto alla Generazione X erano emersi per gradi e si erano moltiplicati in una sorta di crescendo soltanto dopo uno o due decenni di costante trasformazione. Fino ad allora, nella mia esperienza, le rappresentazioni grafiche del cambiamento avevano sempre assunto la forma tipica dei rilievi collinari: il cambiamento culturale si diffondeva e lasciava il segno soltanto dopo una fase di prudente rodaggio che interessava una cerchia ristretta di giovani.

A partire dal 2012, tuttavia, ho cominciato a notare alcune grandi e improvvise alterazioni del comportamento e degli stati emotivi dei teenager. Tutt’a un tratto le linee dei grafici si impennavano bruscamente o si interrompevano di colpo, con strapiombi che azzeravano in breve tempo tendenze consolidatesi nell’arco di decenni: dopo anni di salite e discese graduali, i cambiamenti emergevano repentini, come pareti rocciose che innalzandosi portavano ad altezze mai raggiunte questa o quella caratteristica. In tutte le mie analisi generazionali – che in alcuni casi regredivano fino agli anni Trenta del secolo scorso – non avevo mai osservato niente del genere.

Lí per lí mi chiesi se non fossero semplici anomalie passeggere, destinate a scomparire in un paio d’anni al massimo. Ma poi capii che non lo erano: i fenomeni si stabilizzavano dando vita a tendenze durature, benché prive di precedenti. A furia di scavare nei dati, vidi emergere un disegno: molti di quei grandi cambiamenti avevano visto la luce nel 2011 o nel 2012, troppo tardi cioè per avere come causa scatenante la Grande Recessione, ufficialmente iniziata nel 2007 e conclusasi nel 2009.

A quel punto ebbi un’idea: il biennio 2011-12 era stato quello in cui la maggioranza degli americani aveva cominciato a utilizzare i telefoni cellulari in grado di connettersi a Internet, quelli che oggi chiamiamo smartphone. La iGeneration è figlia di questo improvviso cambiamento.

Mutamenti generazionali di questa portata hanno sempre conseguenze rilevanti. Oggi un intero gruppo di giovani che agiscono e pensano in modo nuovo e diverso – perfino rispetto alla vicina generazione dei Millennial – si sta affacciando all’età adulta. È importante capire chi sono, e lo è per tutti: per i loro amici e familiari, per le aziende che vorranno assumerli, per le scuole e università che avranno il compito di istruirli e guidarli, per gli esperti di marketing che dovranno vendergli dei prodotti. Anche i membri della iGeneration, se vorranno spiegare a quelli piú grandi di loro e ai loro quasi coetanei come vedono il mondo e cosa li rende diversi, avranno prima di tutto bisogno di capire sé stessi.

Al giorno d’oggi le differenze generazionali sono piú vistose che mai, e hanno effetti di un’entità senza precedenti. Osservando i Millennial si era stabilito che il maggior elemento di disuguaglianza rispetto alla fascia di età precedente era una visione del mondo piú orientata al sé e meno attenta alle norme sociali (da cui il nome di Generation Me). Dopo il boom degli smartphone, ciò che distingue gli iGen dalla fascia di età precedente è soprattutto il modo di trascorrere il tempo. Le loro esperienze di vita quotidiana sono del tutto diverse. Per molti aspetti, è un mutamento generazionale ancora piú importante rispetto a quello che ha creato i Millennial: forse è per questo che l’arrivo della iGeneration è stato annunciato da fenomeni cosí ampi e inaspettati.

Passi di: Jean M. Twenge dal libro “Iperconnessi (2017)”



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